12 luglio 2024, a cura di Cecilia Mariani
Negli ultimi anni si è sentito parlare sempre più spesso di un trekking difficile, bellissimo e sempre più frequentato. Uno dei più belli del nostro paese, che però non ha niente a che fare con le Alpi. Si svolge invece, per ironia della sorte, a picco sul mare, lungo una delle coste più spettacolari della nostra penisola. Sì, stiamo parlando della Sardegna, stiamo parlando del Selvaggio Blu.
Con i suoi 40km attraversa la costa di Baunei, da Pedra Longa a Cala Sisine, unendo i vecchi sentieri usati dai pastori del Supramonte per spostare le loro greggi. Non ci sono rifugi lungo il percorso, se non qualche ricovero d’emergenza, non ci sono strade, e chi decide di intraprenderlo lo fa in quasi totale autonomia. Non è certo un percorso adatto a tutti: richiede un grado di preparazione sia fisica che tecnica notevole ed è forse per questo che rimane uno degli itinerari più ambiti.
È uno di quei pochi percorsi in Italia che fa pensare ancora all’avventura quella vera, ed è proprio questa una delle motivazioni che ha spinto due amici, Paolo Mascaretti e la Guida Alpina Fabrizio Manoni, a sceglierlo come palcoscenico del loro progetto. Un Selvaggio Blu diverso, non nuovo, non più difficile, ma un viaggio attraverso la storia dell’arrampicata e la cultura sarda. Un’avventura senza la ricerca del record, senza aprire nuove vie, ma semplicemente la realizzazione di un sogno e di un progetto pensato a lungo.
Abbiamo chiesto a Paolo e Fabrizio di raccontarci il loro viaggio e ne è uscito questo articolo. Ecco a voi Selvaggio Blu 2.0, buona lettura.
I partecipanti
I due protagonisti di questa storia sono amici di lunga data e compagni di cordata. Fabrizio Manoni, per gli amici “Manetta”, è Guida Alpina nel gruppo di Macugnaga e alpinista esperto, con più di 30 anni di attività alle spalle. Paolo Mascaretti è invece consulente di giorno e alpinista amatoriale nel tempo libero. Inizialmente allievo di Fabrizio, i due diventano poi amici e iniziano a scalare insieme, legandosi spesso ai due capi opposti della stessa corda.
Il progetto
Quando Fabrizio inizia a pensare a questo progetto non può far altro che proporlo all’amico, che lo accoglie con grande entusiasmo. L’idea è quella di percorrere il Selvaggio Blu lungo il suo percorso originale concatenando, allo stesso tempo, alcune delle più belle vie lunghe presenti lungo il tragitto. Cinque giorni di trekking e arrampicata in uno degli scenari più suggestivi della Sardegna, unendo la storia dell’arrampicata alla cultura e alla tradizione sarda. Un’avventura alla portata di tutti, lontana dalla ricerca del record e dell’estremo, ma semplicemente un viaggio tra le bellezze della costa di Baunei.
Un’avventura nata dalla necessita di vivere l’alpinismo come viaggio e non come performance, un viaggio attraverso i luoghi, le persone e le culture. Quella dell’arrampicata ma anche quella dei pastori che hanno costruito i sentieri e camminamenti che formano il Selvaggio Blu. Un viaggio alla scoperta della durezza della vita e del lavoro di questi pastori.
È un progetto a cui Fabrizio ha pensato a lungo, ma che i due decidono di intraprendere in maniera un po’ improvvisata. “Non sapevamo se una cosa del genere era già stata fatta oppure no, e non ci interessava particolarmente”, dice Fabrizio. “Avevamo molti dubbi, non sapevamo se saremmo stati in grado di completare il percorso o se si sarebbe rivelato troppo difficile.” Ma è anche questo il bello dell’avventura, così decidono di partire.
Il viaggio
Paolo e Fabrizio seguono il percorso classico del Selvaggio Blu partendo, quindi, da Pedra Longa e arrivando a Cala Sisine. Hanno un piano ma, come ogni avventura che si rispetti, richiede un certo livello di elasticità. “Abbiamo dovuto essere elastici al massimo,” racconta Fabrizio, “cambiare itinerario quando il vento era troppo forte. L’elasticità mentale è fondamentale in questo tipo di imprese, altrimenti si va incontro a un insuccesso garantito.” I due hanno inoltre potuto contare sull’aiuto di Explorando Supramonte per quanto riguarda la logistica, e quindi il trasporto di cibo e attrezzatura per la notte alla fine di ogni tappa.
Ogni giorno Paolo e Fabrizio hanno camminato e scalato, combinando una tappa del Selvaggio Blu a una via d’arrampicata lungo il percorso. Ne sono venuti fuori cinque giorni di pura avventura, duri ma appaganti, bellissimi. Anzi sei giorni, ma di questo parleremo più avanti. Ecco le tappe e le vie di arrampicata intraprese dai due amici:
Giorno 1 Tappa: da Pedra Longa a Cuile deus Piggius
Via: Saratoga - Sa Costa e S’Aidu
Sviluppo arrampicata: 410m
Esposizione: Est Grado massimo: 6b+
Difficoltà obbligatoria: 6a+
Giorno 2 Tappa: da Cuile deus Piggius a Porto Pedrosu
Via: Crisalis by Grenke - Punta Giradili
Sviluppo arrampicata: 550m
Esposizione: Sud-Est
Grado massimo: 7a+
Difficoltà obbligatoria: 6a+
Giorno 3 Tappa: da Porto Pedrosu a Agriturismo Cooperativa Goloritzé
Via: Soffio del Baco - Aguglia, Goloritze
Sviluppo arrampicata: 150m
Esposizione: Ovest
Grado massimo: 7a
Difficoltà obbligatoria: 6b
Giorno 4 Tappa: da Agriturismo Cooperativa Goloritzé a Cala Biriala
Via: nessuna
Giorno 5 Tappa: da Cala Biriala a Cala Sisine
Via: Fedeli alla linea - Punta Plummare (fatta il giorno dopo)
Sviluppo arrampicata: 500m
Esposizione: Sud-Est
Grado massimo: 6c+
Difficoltà obbligatoria: 6c+
Per un totale di 45 tiri di corda in 6 giorni: 5 di Selvaggio Blu più 1 giorno per terminare Fedeli alla Linea. Ma come mai un giorno in più?
Fedeli alla linea
Come già detto, ogni avventura può avere i suoi imprevisti. E proprio quando i due pensavano di essere quasi arrivati alla fine della loro impresa hanno dovuto superare un ultimo ostacolo. Il piano per il quinto giorno era quello di scalare Fedeli alla linea, via di arrampicata aperta da Enzo Lecis a inizio anni 2000 ma, non riuscendo a trovare l’attacco della via e avvicinandosi pericolosamente l’ora del tramonto, decidono di abbandonare. Una volta raggiunta Cala Sisine, però, vengono colti dallo sconforto: sarebbe un peccato che finisse così, dopo mesi di preparativi e cinque giorni di fatica, a un passo dal completare il loro sogno. Ci dormono su e il sonno porta consiglio: il giorno seguente decidono di spostare il volo di ritorno per tornare sui propri passi e fare un nuovo tentativo.
Tornano alla base della via, questa volta in barca, sfidando un mare grosso e per niente invitante. La trovano e iniziano a scalare, ma si trovano davanti a un’ulteriore sorpresa: la roccia è pessima, ma decidono comunque di avanzare. La via è molto pericolosa e l’acciaio degli spit è stato deteriorato dalla salsedine, ma i due non si fermano. Se avessero seguito il buonsenso non avrebbero esitato a tornare indietro, ma la testardaggine ha avuto la meglio e hanno proseguito fino alla fine. Una volta arrivati quasi in cima si rendono conto che la via non era mai stata terminata e forse neanche mai ripetuta. Ma era fatta, avevano concluso il loro progetto e non restava che godersi il momento.
Consigli per chi vuole ripetere l’esperienza
“Il bello di questa avventura è che può essere modificata, personalizzata, e chiunque la voglia ripetere la potrà fare sua, in qualche modo.” Così risponde Fabrizio, quando gli chiedo se ha qualche consiglio per chi volesse ripetere l’avventura. Si possono alzare i gradi di arrampicata, ad esempio, o abbassarli, nel limite del possibile, per renderla più accessibile. Il percorso effettuato da Paolo e Fabrizio richiede preparazione fisica e la capacità di scalare almeno il 6c (6b se si esclude Fedeli alla Linea).
Per quanto riguarda la logistica, è possibile fare tutto in autonomia, con l’unico problema dell’acqua potabile: non è sempre possibile trovarla lungo il percorso. In alternativa è possibile organizzarsi con una delle due realtà che offrono logistica e trasporti lungo il Selvaggio Blu, ovvero Explorando Supramonte e la Cooperativa Goloritzé. È possibile organizzare con loro il trasporto di viveri e materiale per la notte, in modo da portare con sé solo lo stretto necessario e alleggerire il più possibile il peso dello zaino.
Altra cosa fondamentale è l’aiuto di un’app con la traccia .gpx del percorso. Lo stesso infatti non è segnato, ci sono pochissimi bolli blu, per lo più sbiaditi, e qualche ometto. L’itinerario è stato davvero lasciato selvaggio ed è compito di ognuno sapersi orientare, e questo è anche il suo bello.
Da ultimo, ma non meno importante, scegliere il periodo dell’anno con meno gente, se possibile. La primavera è ideale, mentre in autunno è sempre più frequentato. E ovviamente trovare le persone giuste con cui condividere l’avventura. Ah, e un’ultima cosa: non ripetere Fedeli alla Linea!