2 ottobre 2023, a cura di Marta Khalifa
Questa storia comincia ai cancelli di partenza, quelli da cui abbiamo visto Martina lanciarsi più volte. Comincia dall’istante prima della discesa, da quando agitazione e tifo crescono in egual misura.
“Inspira, 1-2-3-4-5, espira, 5-4-3-2-1. Me lo ha insegnato un'amica” dice Martina “e lo faccio ogni volta che arrivo al gate. Spariscono le voci in sottofondo, il cuore rallenta e nella mia testa vedo solo il tracciato”.
A pensarci bene il downhill è tra quelle discipline sportive che richiedono la capacità, non comune e per nulla scontata, di restare nel qui ed ora, perché di possibilità per risollevare una giornata storta ce ne sono pochissime.
Non a caso cominciamo da qui, dal “gate feeling”, perchè quello che per molti sembra un punto di partenza, per chi guarda meglio e più a fondo, è un punto di arrivo: la strada che porta ai cancelli, infatti, è un viaggio lungo, fatto di preparazione, studio, crescita personale.
“Ho cominciato ad andare in bici a 6 anni. A 17 ho chiuso, come si chiude con un lavoro che non ti piace più e del quale sei stufo. Avevo dato tanto alla bici, al cross country per l’esattezza, e sentivo che era tempo di voltare pagina”. Ma come in tutte le migliori relazioni d’amore, fatte di alti e bassi, anche questa era solo destinata a cambiare. “Ho ricominciato per caso e l’ho fatto con il downhill”.
“C’è una vibe diversa nel mondo del gravity, non so come spiegarlo” ci dice con un sorriso enorme. “È un modo di vivere la bici completamente differente. Per noi il divertimento è centrale. La competizione è con te stesso e più vai veloce, più adrenalina entra in circolo, meno riesci a farne a meno. Crea dipendenza". Capiamo subito di essere di fronte a una ricerca diversa rispetto a quella di altri sportivi. Qualcuno lo fa per amore della fatica, qualcuno per il senso di potenza, di libertà, di completezza. In questo caso è la conquista del divertimento. Sì, il downhill è puro divertimento.
Ma come tutte le conquiste, anche questa, va sudata.
La preparazione comincia in palestra perché una buona forma fisica aiuta a sopportare le sollecitazioni. Prosegue con giri al pump track, bici su strada nei mesi invernali e i bike park.
Quello che tanti pensano sia una semplice “discesa” è frutto di ore di lavoro, non solo fisico, ma anche mentale. Perché il downhill richiede anche tanto coraggio. Bisogna affrontare la paura di cadere, di andare veloci e bisogna essere maturi abbastanza da saper gestire le emozioni: “È uno sforzo fisico intenso seppur breve, per cui devi essere lucido. Le emozioni portano all’errore e quindi alla perdita di secondi. Anche per questo una parte importante nel preparare le gare è il track walk. Memorizziamo il percorso, i sassi, la posizione delle radici. Non andiamo veloci e basta, sappiamo esattamente come muoverci su quelle piste”.
Ci confida che dopo una brutta caduta a inizio stagione ha faticato a esprimere se stessa in gara, pur conquistando un podio dopo l’altro. Solo ai campionati italiani ha sentito che la paura era sparita e che la voglia di divertirsi era troppa. Ne parla come se quel cambio improvviso di testa fosse stato casuale, ma sappiamo troppo bene che è il risultato di chi ha costanza, di chi conosce il proprio corpo, di chi lo ha preparato a ripartire.
Chiediamo a Martina se ha mai pensato di smettere, ma sappiamo che la risposta è no. Come si fa a lasciare qualcosa che ti piace così tanto? La sua passione è viscerale e si vede da come riesce a far quadrare tutto nonostante i mille impegni e una bimba piccolissima. Lo si vede da come racconta dei weekend di gara, da come vive la bici, non solo come uno sport, ma come uno stile di vita.
E lo si vede ancora meglio ai cancelli di partenza, in quei secondi di respirazione, dove i battiti diminuiscono, le voci spariscono e si rimane soli con la propria passione: Martina e le sue discese.